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Fin dai tempi della Repubblica il cittadino romano di sesso maschile - dove per cittadino si intende non colui che vive a Roma, ma chi ha il riconoscimento onorifico della cittadinanza romana – è caratterizzato nel vestire dal monumentale panneggio che lo avvolge, la toga. Questo enorme mantello dava alla figura una nobile imponenza, una calma tranquilla dei gesti, un lento incedere, inscindibile dall’idea di potenza che dovevano emanare questi conquistatori del mondo. Quindi romano e togato erano sinonimi e l’indumento fu indossato per tutti i lunghi secoli del dominio latino, fino a che, con l’avvento della cristianità e con la caduta dell’impero, anche il costume simbolico venne definitivamente a cadere per essere sostituito da abiti più svelti e longilinei. La toga era indossata sulla tunica, che lasciava braccia e gambe nude, e derivava probabilmente da un antico mantello etrusco, la Tebenna. Parecchie notizie sull’abbigliamento civile romano si possono ricavare dalle Leggi Suntuarie, ossia le disposizioni contro il lusso, di cui la più importante, sebbene riguardasse solo il costume femminile, fu la Lex Oppia, istituita nel 215 a.C. . Nel 18 a.C. Giulio Cesare nella sua carica di “praefectus morum” dettò precisi regolamenti per limitare l’abbigliamento; in seguito anche Tiberio, Diocleziano, Teodosio, Arcadio ed Onorio intervennero in tale materia. Ai tempi dell’apologista Tertulliano (155, 230 circa) le leggi suntuarie erano ormai in disuso, mentre i primi autori cristiani si limitavano a censurare con veementi prediche coloro che si allontanavano dalla modestia e dal decoro. La toga di lana era un grande mantello semicircolare prima, ellittico durante l’Impero, le cui diagonali potevano essere 4-5 metri su 3. Prima di indossarla si dovevano sistemare una serie di pieghe parallele sul lato lungo, poi veniva appoggiata a partire dalla spalla sinistra, si faceva passare dietro alla schiena e sotto il braccio destro, da cui tornava ad appoggiarsi sul braccio sinistro. Il motivo di pieghe che ricadeva sul davanti era detto “sinus”, e poteva anche essere usato come tasca. Fondamentale motivo decorativo era il drappeggio: l’oratore Quintilliano, vissuto nel primo secolo d.C., dà precisi consigli su come disporlo annotando anche che il drappeggio doveva essere tenuto in forma la notte prima con appositi moduli di legno e ricorda un certo Ortensio che voleva intentare una causa a un tale che gli aveva involontariamente disordinato il panneggio. La toga poteva essere di diversi colori e modelli: La toga virilis, in lana naturale e indossata comunemente in età adulta. Il Pontefice massimo, ossia il capo del collegio dei sacerdoti, ne poneva un lembo sulla testa. Così è rappresentato Augusto nel pieno delle sue funzioni. Sacerdoti ed equestri la ornavano per privilegio con delle strisce color porpora, larga per i primi (laticlavio) e più stretta per i secondi (angusticlavio). La toga candida, bianchissima e usata dai “candidati” alle cariche pubbliche per dimostrare l’onestà delle loro intenzioni. La toga praetexta, anch’essa orlata di porpora, indossata dai ragazzi romani prima della loro maggiore età, e dai Magistrati Curuli. Il manto tuttavia è di origine orientale, introdotto dall’imperatore Eliogabalo che la voleva interamente in seta. La toga pulla o atra bruna o grigio scuro, che veniva portata nei giorni di lutto. Nei primi secoli di Roma si volevano per gli uomini abbigliamento ed acconciature semplici e severi che dimostrassero la purezza di costumi e il rigore morale del popolo latino: per questo motivo gli abiti dovevano essere in lana e quasi privi di decorazioni. Con la conquista dell’Impero cominciarono ad insinuarsi usi e costumi di popoli orientali che comportarono, pur tra diverse proteste, tessuti come il lino prima, la seta poi, con l’aggiunta di ricami, colori e decorazioni, nella totale indifferenza verso le Leggi Suntuarie. Le nuove fogge finirono per superare quelle vecchie al punto che Giovenale (60, 127 circa d.C) afferma ironicamente che ai suoi tempi la toga era ormai indossata solo dai morti. La toga Picta, molto decorata, fu portata dai generali vittoriosi nell’ora del loro trionfo, dagli imperatori e dai giovani eleganti che si facevano ammirare per le loro frange e i motivi animali e vegetali. La picta diventò così pesante e rigida al punto che limitava i movimenti e dovette essere sostituita da indumenti più comodi. Varrone parla altresì di una toga vitrea, fatta di un tessuto leggero e trasparente. Nel tardo impero l’ultima evoluzione è la toga contabulata, con una larga fascia di pieghe che passa sul torace.Che per i romani i mantelli fossero importanti è dimostrato dalla varietà dei loro modelli: oltre alla toga conoscevano: il Birro con cappuccio, la Paenula rotonda usata per viaggiare, mentre i militari si coprivano col Sago, menzionato nell’editto di Diocleziano (301 d.C.) e la clamide, che passerà poi al comune vestire civile. Quest’ultimo indumento che all’epoca di Teodosio (347, 395) incuteva ancora terrore, era di origine greca, più corto della toga e affibbiato sulla spalla destra. Nato come mantello da equitazione entrerà prepotentemente nell’uso civile per la sua praticità. Sempre di origine greca era il Pallio, mantello simile alla toga e avvolto attorno al corpo che si diffonderà in epoca bizantina. Le tuniche, quasi sempre nascoste, non variarono di modello fino a quando non venne di moda il colobio, molto largo, sciolto e senza maniche, che fu in particolare adottato dai primi monaci cristiani. Novità importante introdotta dall’oriente furono invece le maniche, considerate all’inizio un segno di effeminatezza: Giulio Cesare fu criticato perché ne esibiva di orlate con frange. Molto raffinata era la “Synthesina” un camice leggero che si portava alla notte o che si metteva quando si partecipava a un pranzo, regalata dall’ospite stesso che desiderava far star comodi i convitati. Nel II secolo una lunga tunica con maniche larghe, detta Dalmatica, e decorata con due larghe clavi verticali, spesso ricamate, entrò a far parte del guardaroba. Indossata anche dalle donne, la si può ben vedere negli affreschi delle catacombe paleocristiane, in cui viene esibita da figure di oranti a braccia aperte. Come si è detto le conquiste romane introdussero nuovi indumenti che, dapprima guardati con diffidenza, entrarono poi nell’uso comune. L’esempio più clamoroso sono le Brache, che erano comunemente portate dalle tribù barbariche per proteggersi dal freddo e che colpirono a tal punto l’immaginazione dei conquistatori da affibbiare a quei territori il nome di “Gallia bracata”. Diffusesi rapidamente a causa della loro estrema praticità, le brache erano all’inizio color porpora per gli imperatori. Ma dopo Diocleziano, che cita il “bracario” come sarto dedicato a quell’unico indumento, Teodosio, Onorio e Arcadio le vietarono comminando l’esilio perpetuo ai trasgressori. Anche le brache entrarono poi prepotentemente nell’uso quotidiano a ulteriore dimostrazione che le leggi repressive non servono nel loro intento. Bibliografia: Rosita Levi Pizetsky, Il costume e la moda nella società italiana,Einaudi, Torino, 1978 Henni Harald Hansen, Storia del costume, Marietti. Torino
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