Símbolos Patrios de PanamáLA BANDERA De panamaLa bandera de Panamá fue diseñada por Don Manuel E. Amador y confeccionada por su esposa Doña María Ossa de Amador.
EN LAS REDES HAY UNA GRAN CAMPAÑA DIFAMADORA EN CONTRA DE NUESTROS SÍMBOLOS PATRIOS, NO PODEMOS DEJARNOS EMBOBAR Y SEGUIRLO EN EL USO INCORRECTO LA PRACTICA NOS HACE IGNORANTES, AQUÍ LE TRA…
VIVA LA PATRIA! VIVA MI AMADA ARGENTINA! FELIZ INDEPENDENCIA! #VivaLaPatria #bicentenario #argentina #Tucuman #arg #latinamerica #latinoamerica #southamerica #sudamerica
Seção com textos e temas destinados à Geografia do Brasil, desde suas características naturais aos seus aspectos humanos.
Crolla il mondo, la gente è reclusa in casa come mai era successo, neanche in tempo di guerra o sotto la dittatura, ma il fascismo resta a 75 anni dalla sua caduta, il pericolo numero uno e l’antifascismo la nostra sola religione civile. Cortei domestici, sit-in alla finestra e piazzate virtuali. Potrei dirvi tutte le mie perplessità nel celebrare ancora una festa che divide gli italiani e non tra fascisti e antifascisti ma tra chi ritiene che il mondo di oggi non si divide certo tra queste due categorie, e chi invece ne è ancora convinto. Il fascismo è morto e sepolto e l’antifascismo in assenza di fascismo non ha senso; avrebbe senso una festa della libertà e della democrazia contro tutti i totalitarismi, vecchi e nuovi, ma non questa, così concepita. Merita ogni rispetto chi fu antifascista in epoca fascista, pagando sulla sua pelle. Ma non ha senso ululare oggi al fascismo in agguato, dopo 75 anni, mentre del comunismo ancora vigente in Cina, e assai più vicino del tempo, non si parla più, tantomeno dei suoi orrori. Quattro fessi che disegnano una svastica o trafficano in figurine del duce non sono una minaccia alla democrazia. Sicuramente meno minacciosi degli anarchici torinesi o degli antagonisti. Potrei ricordarvi che la liberazione dal fascismo e la libertà non ce la dette la Resistenza ma gli Anglo-Americani; mezza Resistenza sognava l’avvento della dittatura comunista. Potrei dirvi che i partigiani veri erano una minoranza rispetto a quelli presunti, sedicenti e postumi. Pensate che, come documenta Fabio Andriola in Storia in rete, già nell’immediato dopoguerra su 650mila presunti partigiani che chiedevano il riconoscimento di stato, ne furono riconosciuti solo 137mila. E altri si sono aggiunti nei decenni, che potremmo definire partesan anziché partigiani, come la differenza che corre tra il parmigiano e il parmesan. Antifascisti posticci, a babbo morto, da remoto. Potrei ancora dirvi che tra i fascisti e gli antifascisti c’è di mezzo la gran parte degli italiani, che non presero parte alla guerra civile, ma furono sbandati, neutrali, monarchici, poi democristiani, comunque lontani da quella furente divisione. Potrei dire ancora che non possiamo fare di un anti, la nostra sola, indiscutibile, tassativa religione civile, né possiamo ridurre la storia millenaria d’Italia, la civiltà antica, medievale e moderna, il Risorgimento e la Grande Guerra, solo agli ultimi tre quarti di secolo, fingendo che l’Italia sia nata con la Resistenza. Ma non è di questo che voglio dirvi. Voglio porvi a contrario il tema del manifesto per il 25 aprile lanciato da Petrini, Serra e Lerner. In quelle 1400 firme – non so ora a che numero siano arrivate – ci sono da distinguere tre categorie. I promotori, quelli che si sentono ancora in guerra con l’eterno fascismo, quelli “der valoroso collettivo antifascista”, tra cui i primi firmatari, la presidente dell’Anpi, la partigiana virtuale Carla Nespolo, i compagni, lottatori continui e così via. Dopo i militanti ci sono gli aderenti, quelli che non si tirano mai indietro a firmare manifesti, quelli che aderiscono all’antifascismo come establishment, test psicoattitudinale d’ingresso alla democrazia; gente che ha fatto il tampone resistenziale, che passeggia con la mascherina antifascista come titolo di appartenenza. Ci sono svariati scrittori, cineasti, cantanti, editori, cuochi, direttori di giornali, ecc. Inclusi quei cattolici di potere delle Brigate Bergoglio che vogliono liberare il mondo non dal diavolo né dalla pandemia ma dai sovranisti. C’è poi una terza categoria, quelli che non hanno mai manifestato il loro antifascismo ma per sopravvivere e dissipare ogni dubbio hanno firmato perché non farlo avrebbe comportato l’iscrizione automatica nel Libro Nero dei camerati & complici della Bestia Nera. Sono i Costretti, o Coscritti, antifascisti per campare. Qui c’è il popolo delle Tardine, cioè sardine andate a male, che in età avanzata scoprono un tardivo antifascismo. Ne ho viste di firme intruse ed estranee. Chi non canta “bella ciao” fascista è, è. C’è persino la vecchia brigata partesan Celentano-Zanicchi-Orietta Berti. Però quel che colpisce di questo corteo fiction non sono le firme per convinzione o convenienza, ma il muro eretto rispetto al resto d’Italia. Un terribile muro spinato che divide la società in giusti e infami. Chi non ha firmato è iscritto d’ufficio tra i Negativi, magari asintomatici, ma positivi al virus fascista e dunque contagiosi, untori, portatori infami. Criptofascisti, parafascisti, da tenere fuori da ogni contesto, da cancellare. È questa la cappa intollerante, illibertaria, che incombe sul nostro paese, e in particolare sulla cultura, le istituzioni, il cinema, la musica, l’arte, l’editoria, il giornalismo, fino a sconfinare in altri ambiti, persino nella gastronomia. Quel muro divisorio a 75 anni dalla caduta del fascismo, quella linea discriminatoria che non era così perentoria dieci dopo il fascismo, si fa più pesante oggi che sono tutti morti, fascisti e antifascisti. E’ la maledizione che ci portiamo addosso, e che ci impedisce di festeggiare uniti le nostre feste civili e nazionali. A proposito di morti, nel passaggio finale, riferendosi alla strage di anziani col virus, l’appello denuncia con dolore che “Uno a uno i partigiani ci lasciano”. I partigiani morti col coronavirus si conteranno sulle dita di una mano o forse due, per evidenti ragioni anagrafiche e statistiche. Sono migliaia invece gli anziani morti per il virus che non avevano nulla a che fare con la Resistenza. Una preghiera per loro. Perché l’Italia è molto più grande delle brigate partigiane. E i vecchi sono da onorare comunque, anche se hanno servito l’Italia, il lavoro, la famiglia senza essere partigiani né partesan. Marcello Veneziani, La Verità 24 aprile 2020
Unos 17 ciudadanos fueron bautizados como Patria y en total 455 peruanos tienen nombres y apellidos vinculados a nuestro país en estas Fiestas Patrias.
L’Altare della Patria, tempio massonico In fondo a piazza Venezia, in posizione prospettica ideale alla fine del rettifilo di via del Corso, addossato al Colle Capitolino, principale simbolo laico della città di Roma, sorge il grandioso monumento a Vittorio Emanuele ii re d’Italia, che viene detto anche Il Vittoriano e nel parlare comune dei romani è l’Altare della Patria o anche, con un nomignolo a metà tra il dispregiativo e l’ironico, la Macchina da scrivere, per le sue forme che ricordano le vecchie Olivetti. In effetti, per la tradizione di Roma, quest’opera è sempre risultata un po’ ingombrante e imbarazzante: in parte per la sua mole gigantesca, che ha finito quasi per oscurare il vicino colle del Campidoglio, in parte per le origini della sua costruzione, che sono legate all’affermazione della unità d’Italia (e in qualche modo quindi simbolo del potere piemontese sulla Capitale), in parte per lo sfacelo, compiuto all’epoca della edificazione, di interi quartieri di Roma e di rovine antiche, e in parte infine per il materiale utilizzato – quel calcare di Botticino (in provincia di Brescia – così luminoso e abbagliante che male si concilia con l’opaco travertino simbolo della Città, insieme al giallo all’arancione e all’ocra dei suoi palazzi più antichi. L’Altare è principalmente opera dell’architetto Giuseppe Sacconi e fu iniziato nel 1885. Ma i complessi lavori si protrassero per ventisei anni e l’inaugurazione dell’edificio si ebbe soltanto nel 1911. La collocazione nel monumento della Tomba del Milite Ignoto risale invece soltanto al 1921, e da allora, con la sepoltura di un anonimo caduto italiano durante la guerra del 1915-18, all’Altare si legò una nuova valenza simbolica, emblema della unità del Paese che ancora oggi viene omaggiata dai presidenti della Repubblica nelle circostanze e nelle ricorrenze ufficiali. L’idea di Sacconi infatti fu quella di realizzare una allegoria dell’Italia, per mezzo di una galleria di sculture, bassorilievi, fontane, esedre, mosaici, statue e quadrighe armonizzati in un unico disegno complessivo. Il monumento fu ideato dopo la morte di Vittorio Emanuele ii e proprio per celebrare la figura dell’uomo che più di ogni altro era considerato il Padre della Patria, colui che per la prima volta era riuscito nell’impresa di unificare un territorio sempre diviso e disperso come quello italiano. Il bando per il progetto fu varato nel 1882 e, tra le novantotto proposte pervenute, si affermò proprio quella del giovane architetto marchigiano Giuseppe Sacconi, il quale si ispirò esplicitamente all’Altare di Zeus a Pergamo, uno dei capolavori assoluti dell’arte ellenistica fatto erigere dal re Eumene ii tra il 166 e il 156 a.C., smontato dai luoghi originari e trasportato a Berlino nel 1886, dove si trova attualmente. Sacconi ebbe il pieno appoggio della potente massoneria romana, esponente di una “seconda religione”, laica e anticlericale, che aveva trovato nell’unità d’Italia il suo simbolo e voleva celebrarla in un grandioso monumento che si presentava come una enorme piazza sopraelevata, dentro la città, nel cuore della città, una specie di moderno Foro che non inneggiasse alle persone, ma ai simboli, della libertà, della fraternità, dell’uguaglianza, dell’economia, della unità. Il vero ispiratore di questa idea era stato Giuseppe Zanardelli, uno dei politici più importanti del periodo seguente alla unificazione d’Italia, massone, sul quale circolano i più disparati aneddoti, tra cui uno racconta che, per polemizzare contro chi, a Montecitorio si lamentava dei troppi parlamentari massoni, giunse a sfilarsi il cappotto per mostrare orgogliosamente il grembiule massonico che indossava. Fu proprio Zanardelli a esprimere il parere favorevole al progetto di Sacconi ispirato a un grande e celebrato simbolo della grandezza classica ellenica, e fu lo stesso Zanardelli – sembra - a sostenere la scelta di sostituire il travertino (materiale con il quale Sacconi aveva pensato di realizzare il monumento, sicuramente più consono alla storia e alla tradizione di Roma) con il botticino, il marmo bianco estratto dalle cave di Brescia, di cui Zanardelli era originario. Sacconi era il nipote di un cardinale e aveva persino curato i lavori di restauro del Santuario di Loreto. Ma era considerato da Zanardelli sufficientemente ambizioso e volitivo per occuparsi della realizzazione di un monumento così imponente. All’Altare della Patria, in effetti, Sacconi dedicò l’energia di una vita intera, anche se non riuscì a vedere il monumento ultimato: morì infatti nel 1905, sei anni prima della inaugurazione e i lavori vennero ultimati dagli architetti Koch, Manfredi e Piacentini. Gran parte del lavoro però fu effettuato sotto la sua guida di Saconi: la prima pietra del futuro monumento fu posta nel 1885. Poi, lentamente, si cominciarono a distruggere e demolire le case della zona adiacente al Campidoglio, abbattendo la torre medievale di papa Paolo iii (1468-1549), Farnese, l’ispiratore del Concilio di Trento, l’Arco di San Marco, un ponte sospeso che metteva in comunicazione Palazzo Venezia con il Campidoglio e i tre meravigliosi chiostri del convento francescano dell’Ara Coeli che furono sacrificati al nuovo monumento. Ma Sacconi si trovò di fronte a mille difficoltà: prima fra tutte il fatto che il colle del Campidoglio risultò essere composto di materiali argillosi, frutto di sedimentazioni successive e molto friabile, non di tufo come si pensava. Durante gli scavi, poi, venne fuori di tutto, come era scontato in quella zona nevralgica dove sorgevano molte delle più rilevanti rovine della Roma antica: gallerie, sotterranei, porzioni di mura serviane, reperti di ogni genere, perfino lo scheletro di un elefante, conservato da chissà quanto tempo. Le ruspe sabaude comunque andarono avanti senza fermarsi, fino al completamento dell’opera, inaugurato a da Vittorio Emanuele iii il 4 giugno del 1911, nella occasione della Esposizione internazionale per il cinquantenario della Unità d’Italia, insieme alla nuova piazza Venezia, ridisegnata secondo il disegno dello stesso Sacconi, nel corso di una solenne e imponente cerimonia alla quale presero parte, oltre alle più alte cariche dello Stato, seimila sindaci provenienti da ogni regione d’Italia. Il completamento del corredo esterno e interno di statue e mosaici dell’enorme monumento proseguì però per parecchi anni dopo la sua inaugurazione. Le due grandi quadrighe bronzee vennero poste sul terrazzo del monumento (oggi visitabile grazie all’ascensore trasparente realizzato sotto la giunta Rutelli) tra il 1924 e il 1927; qualche anno dopo si completò la cripta del Milite Ignoto, e negli anni ’30 fu terminata anche la facciata del monumento esposta a sud, verso via di San Pietro in Carcere, con la realizzazione del Museo del Risorgimento. Qualche numero serve a capirne le dimensioni: è alto 81 metri e largo 135 e occupa una superficie pari a diciassettemila metri quadrati, 196 sono i gradini che mettono in comunicazione il colonnato con la terrazza, dalla quale si gode di una vista impareggiabile sulla città; 12 metri di altezza per una lunghezza di dieci sono invece le dimensioni della statua equestre dedicata a Vittorio Emanuele ii, per la quale furono fuse cinquanta tonnellate di bronzo (nel ventre del cavallo sembra possano essere stipate venti persone comodamente sedute). Molti sono i simboli (vegetali, animali) che ricorrono nel monumento, gioia degli appassionati di esoterismo che vi leggono un codice nascosto: la palma per la vittoria, l’alloro per la pace vittoriosa, il mirto per il sacrificio, l’ulivo per la concordia, la quercia per la forza; poi una donna che afferra un serpente con la mano sinistra, simbolo della conoscenza segreta. Tratto da Fabrizio Falconi, Roma segreta e Misteriosa, Newton Compton, Roma, 2017
“¡Buen lunes para todos y un excelente comienzo de semana! 🇦🇷🐴 #BuenLunes #FelizLunes #SomosElEjercito”
Nunca pense, cuando hable del Tocororo, que iba a tener la acogida que ha tenido - Nostalgia Cuba
«El que no ama su patria no puede amar nada». #LordByron #FrasesCelebres #Candidman
Il pupillo di Macron, amato e odiato in patria, è il simbolo di un sistema che ogni tanto stupisce anche gli elettori più disincantati