Sono fatti con una pasta casereccia di farina, uova, sale e acqua. I fuži (o cherpize in dialetto) conditi con sugo a base di prosciutto e funghi. I fuži (italianizzato in fusi) erano sul tavolo di ogni brava massaia, e non solo nel mondo contadino. 👉Ad uno sguardo distratto potrebbero sembrare semplici penne della Coop, perchè dimensioni e forma esterna ingannano. 👉Ma in effetti le classiche penne non c'entrano nulla, perchè i fuži sono di pasta fresca ed la loro forma deriva da una procedura più vicina a quella dei cappelletti padani o delle orecchiette pugliesi. L'impasto all'uovo deve essere morbido e va steso in uno strato sottile, da arrotolare poi su sè stesso. Va quindi tagliato in strisce larghe 3/4 centimetri, che vanno distese e poi tagliate a quadratini o rombi; gli angoli opposti vengono poi piegati l'uno sull'altro: prendere un’estremità del rombo e avvolgerla con l’ausilio di un bastoncino, unendo così le due estremità opposte. Una volta preparati tutti i fuži, cuocerli in acqua salata.
A Trieste lo Spritz è a base di vino bianco e acqua frizzante (o di seltz) e a quanto pare è una reminiscenza austriaca. La propaganda triestina sproponeva "spriz", italianizzazione di "Spritz". Il termine "Spritz" deriva infatti dal verbo tedesco spritzen (spruzzare). 👉Sembra infatti gli austriaci giudicassero i vini locali troppo alcolici, e che fossero soliti diluirli con acqua frizzante. 👉Lo Spritz si affiancò al rebechìn, abitudine tipica dei portuali che potevano così staccare dal loro duro lavoro per rinfrancarsi. Il rebechìn era anche l’aperitivo serale con qualche stuzzichino.
La padellata di patate alla triestina: patate lessate e poi schiacciate con la forchetta, e infine passate in padella su un soffritto di lardo e cipolla. Roast-beef di manzo con contorno di patate in tecia alla giustamente celebre Trattoria Sociale di Prosecco sul Carso. Eccole nella mia personalissima versione abbondantemente "pepata" con peperoncino rosso e poi portata in tavola con abbondante aggiun- ta di erba cipollina e qualche semplicissima patata lessa. La padella giusta per le patate in tecia sarebbe quella in ferro fucinato della tradizione, che non va mai lavata ma solo strofinata con carta di giornale, ma vabbé. 👉Le patate andrebbero lessate con la buccia, per evitare che si inzuppino d'acqua. 👉Le patate lesse vanno aggiunte al soffritto di cipolla e vanno lasciate libere di attaccarsi un poco alla padella formando una crosticina. 👉Ma subito dopo devono essere rimescolate per incorporare la crosticina nelle patate e che va ripetuto, finchè alla fine le patate dovrebbero prendere un colore dorato, e presentarsi soffici ma anche “crostolose” al tempo stesso. La rustica padellata di patate compare con nomi e variazioni diverse nell'intero arco alpino; dallo svizzero Rösti (dove le patate sono lessate come a Trieste), al tortel de patate trentino (dove invece le patate vengono grattugiate da crude). Nelle patate in tecia triestine l'abilità dell'addetto al passaggio in padella è ciò che fa la differenza, che alla vista può essere anche notevole.
Il prosciutto "in crosta de pan ala triestina" è un antipasto di origine boema che solo successivamente venne adottato nella cucina triestina. E' una variante del prosciutto cotto alla triestina, che è uno stile di con- sumo del "cotto di Praga". Lo si può ancora trovare in certi buffet del- la città, dov'é abbinato alla porzina di maiale, ai crauti e alla birra. L'usanza del prosciutto in crosta arriva dalla tradizione austriaca dell'Osternschinken, che è il "prosciutto pasquale". E' un'usanza oggi molto citata ma poco praticata tanto che lo si trova solo in qualche buffet o osmiza. 👉Bisogna avvolgerlo nella pasta di pane e poi farlo cuocere nel forno a 180° per circa un'ora. Per preparare la pasta di pane mettere la farina in un recipiente, unirvi il lievito precedentemente sciolto in poca acqua tiepida e aggiungere un pizzico di sale. Impastare, coprire con un canovaccio e lasciar lievitare in luogo caldo; quindi impastare nuovamente e stendere allo spessore di un centimetro. 👉A cottura ultimata togliere il prosciutto dal forno, spaccare la crosta e tagliare a grosse fette che andranno servite fumanti, cosparse di cren grattugiato e accompagnate da un pezzo della crosta di pane.
Nelle case di campagna veniva cotto nel forno domestico, che tutti avevano. In città, invece, si comperava nelle botteghe oppure si portava a cuocere dal pistòr, il panettiere, nella bottega più vicina. Il pane di frumento era molto raro e pregiato. Si ricorreva a farine di ce- reali più poveri come il mais, la segale, la spelta, l'orzo, il sorgo. "Secondo la procedura tradizionale, la farina veniva impastata insieme al lievito, al sale e all'acqua tiepida (bollente per la farina gialla) in una conca rettangolare albòl o nacve, scavata da un unico pezzo di legno. 👉Si impastava con le mani o mediante un apposito bastone detto cròsola o krocula, munito di due sottili impugnature laterali e di una estremità a stampella che veniva appoggiata sotto l'ascella. La conca per impastare poteva anche essere incorporata nella madia per la farina, detta panariòl, panjarol o kudinje, Un oggetto che non mancava mai era la conca da impasto. La forza mo- trice di questa "impastatrice" era data dal lavoro di braccia delle donne. costituendone il coperchio a ribalta. 👉La madia era anche chiamata, per metonimia, con gli stessi termini usati per la conca. Si usava disporre il pane a lievitare su di una apposito asse còncolo o konkolo, talvolta provvisto di scomparti rotondi, con il quale lo si portava poi a cuocere in fomo." (liberamente tratto dal sito istriaontheinternet). Si panificavano grosse pagnotte, adatte alle necessità di allora e non certo minuscole rosette o michette come si usa oggi. (foto di Lucija Lovrecic)
A Zara le più antiche ed importanti distillerie di maraschino furono la Drioli (nel 1759), la Luxardo (nel 1821) e la Vlahov (nel 1861). Per ricostruzioni più ampie della presenza del maraschino a Zara vedi il sito webfoodculture.com e il post dedicato. In origine il maraschino era il risultato della sola infusione, non essendo infatti prevista la distillazione. Si trattava cioè di un "rosolio" preparato dalla Marchesa Canevari (grazie al quale si dice sia nata la ditta Luxardo). Il processo industriale divenne ben presto molto più strutturato. 👉Il processo di produzione prevedeva diverse fasi: la fermentazione della polpa di marasca, la torchiatura per estrarne la frazione liquida, la infusione del liquido in alcool, la distillazione in alambicco di rame ed infine di affinazione aggiunto uno sciroppo di acqua e zucchero raffinato che, oltre ad addolcirne il sapore, ne abbassa la gradazione alcolica fino al risultato desiderato (30/32%). Il liquore era infine lasciato ad invecchiare per due anni in botti di frassino Finlandese. La bottiglia di maraschino prodotta oggi dalla ditta "Maraska" di Zara, che ha continuato la produzione dopo l'esodo della famglia Luxardo a Padova, in seguito alla nascita del Jugoslavija del Maresciallo Tito. Nel riquadro, invece, una bottiglia quadra della Drioli che aveva inaugurato l'era delle distillerie zaratine addirittura nel lontanissimo 1759.
In Austria vengono chiamati Zwetchgenknödel, ossia gnocchi di patate farciti di susine, cotti nell'acqua e poi conditi e insaporiti con uno... Accostamenti di sapori certo poco italiani, come altre cose chiamate "po- lenta e latte" o ancor peggio "polenta e marmellata". ...strano soffritto fatto di burro fuso, zucchero e cannella. Per noi erano semplicemente "i gnocchi dolci", col loro ripieno di marmellata e insaporiti da un intrigante quanto insolito soffritto, un mix composto da pangrattato, zucchero, cannella e olio. 👉Erano sapori certamente poco italiani. Come molti altri assai diffusi nella Küstenland asburgica, tipo la polenta con la marmellata o la polenta con il latte, i cui soli nome ci fanno rabbrividire, ma che i nostri nonni apprezzavano molto. Tutte cose di derivazione austriaca, come questi gnocchi dolci diffusi anche in Trentino.
This photo was taken out the window as we drove towards Dubrovnik. Lunch stop beside the Neretva River between Split and Dubrovnik. The Adriatic Coastline. We arrived in Dubrovnik on the exact date that we had planned to meet up with our friends Trevor and Mary-Liz who were travelling from Australia. The plan was to meet at the Dubrovnik Youth Hostel, spend a couple of days here and travel back to England together. The Youth Hostel was closed, one because it was Winter and two because they were doing renovations but we left a note and camped nearby. We waited one day for them, we waited two days for them, we waited three days for Trevor and Mary-Liz to turn up or send a message but on the fourth day we had to move on. When we arrived back in England we received a letter from them saying they thought Dubrovnik was the name of a Youth Hostel in Greece!!!!! Trevor and Mary-Liz did get to Dubrovnik but days after we'd left but they got our message so they knew we'd made it on time. I might add the waiting was not painful, we loved Dubrovnik, the food was good, the people were lovely but there was no where for us to shower! so driving up some quite road, heating up some water, stripping off and tipping the water over us was the only way we managed to keep clean. Dubrovnik a walled city until 1808 At the Gates, this bus was packed solid with passengers when it arrived and as soon as it disgorged it was quickly packed once again. Almost the same spot below from Google. This chap was wearing leather pants and a skull cap, he's outside a masonry workshop. From Split to Dubrovnik on Google Maps.
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